L’appuntamento con la fotografia di Bologna si rinnova con una sorprendente scoperta: dal 3 dicembre 2025 al 1° febbraio 2026, la Cineteca di Bologna presenta una selezione di scatti raccolti nella mostra Giuseppe Pezzini. Fotografo ambulante, a cura di Elena Correra e Giuseppe Savini, allestita alla Galleria Modernissimo.

Esposta per la prima volta, l’opera di Giuseppe Pezzini ci restituisce lo sguardo di un testimone unico del mondo agricolo della “Bassa”, tra gli anni Trenta e i Settanta: la Cineteca ha da poco acquisito il suo grande archivio composto di 200mila negativi. Un immenso repertorio che
testimonia oltre quarant’anni di lavoro svolto nelle campagne fra Bologna e Ferrara.

Dopo anni di apprendistato presso uno studio fotografico ferrarese, Giuseppe Pezzini ottiene la licenza da fotografo ambulante nel 1935 e, trasferitosi a Malalbergo, nel 1938 vi apre il suo primo negozio-laboratorio. È da quella piccola bottega con le fotografie esposte in vetrina – ne vediamo qui alcune immagini – che Pezzini parte giornalmente in bicicletta per portare il suo servizio di fotografo ritrattista in giro per la pianura. Erano all’epoca campagne fatte di casolari sparsi e di piccoli borghi disseminati lungo le strade principali. Abitate da braccianti, mondine, operai, negozianti e ambulanti che, come lui, girano alla ricerca di clienti.
Pezzini ha una vecchia macchina fotografica a soffietto 6×9 che, dal 1939, alterna con una Rolleiflex 6×6, un modello costoso. Mette in posa i soggetti e scatta, lasciando – troppo spesso per essere un caso – una sorta di firma: la sua ombra e quella del suo cappello.
Nel 1945, tornato a Malalbergo dopo tre anni di guerra e prigionia, trova il suo negozio distrutto e ne apre uno nuovo. La bicicletta è diventata un ciclomotore; la società sta cambiando velocemente e Pezzini adatta il suo lavoro alle nuove richieste.
Nel 1952 trasferisce la sua attività ad Altedo.


“Le fotografie di Giuseppe Pezzini – commenta il direttore della Cineteca di Bologna Gian Luca Farinelli – sono testimoni di una società millenaria, cancellata nell’arco di appena vent’anni del Novecento. Pasolini parlò di genocidio di un popolo e queste immagini preziose, che ritraggono un popolo e una civiltà oggi scomparsi, ci rimandano a quelle di popoli e culture che la storia ha spazzato via. Sono un documento preziosissimo, anche perché ci raccontano quel mondo come raramente lo abbiamo visto. Pezzini, nasce a Occhiobello, avrà un negozio a Malalbergo e poi ad Altedo, si muoverà tutta la vita nella campagna che corre, a fianco del Reno, tra Bologna e Ferrara e
la prima parte della sua attività sarà di fotografo ambulante. Il suo sguardo è totalmente interno alla comunità che fotografa, da cui non si allontanerà mai. Pezzini fotografa un popolo laborioso, batte i
campi quando sa che il lavoro si può interrompere per un attimo e ritrae non singoli soggetti, ma gruppi di persone: ritratti scattati nel pieno della vita quotidiana a mondine, agricoltori, uomini,
donne, bambini, anziani colti non nel giorno di festa, ma nella quotidianità della loro vita lavorativa.
Il fortunato ritrovamento dell’opera di Pezzini – grazie a un altro fotografo, Luciano Calzolari di Crevalcore, che nel 1991 ha acquisto il fondo e lo ha recentemente affidato alla Cineteca di Bologna
– ci ha fatto scoprire che non c’è nulla di scontato nelle sue immagini. Esse ritraggono donne e uomini fieri del proprio lavoro e della propria vita e hanno al centro la classe meno raccontata, più esclusa dal piano nobile della storia. Immagini che sembrano dirci: sono i contadini il nucleo, l’identità della comunità e sono destinati, come la natura, all’eternità. Ed è in quella comunità, di cui divenne interprete originale, che Giuseppe Pezzini si riconobbe”.

Scrive Elena Correra, responsabile dell’Archivio Fotografico della Cineteca di Bologna: “La collezione di Giuseppe Pezzini è composta da circa 200mila elementi, per la maggior parte negativi, a cui si aggiungono poche centinaia di stampe positive. La collezione di Giuseppe Pezzini custodisce di fatto la storia di un’intera comunità e ci consegna la possibilità di vedere un mondo che oggi non esiste più. Quello stesso mondo che, a pochi anni di distanza, è stato ben rappresentato da un grande fotografo come Enrico Pasquali, noto per il suo contributo alla fotografia umanista e realista. Come ha scritto Renzo Renzi, per Pasquali si può parlare di “anomalia del contadino
neorealista”, ovvero lo sguardo del fotografo è lo stesso del contadino o del bracciante, mestiere che Pasquali aveva davvero svolto da ragazzo; tuttavia il solco da lui aperto è quello della documentazione delle condizioni di vita e di lavoro della popolazione del territorio emiliano- romagnolo. Anche nel caso di Pezzini il punto di vista è certamente interno, semplice e diretto; egli fa parte dello stesso mondo che fotografa, senza distanza, ma il suo lavoro non sembra avere nessun’altra volontà sottesa se non quella di esserci e partecipare alla vita di comunità, così come tutte le altre persone da lui raffigurate. Ma non è solo qui che risiede la forza di queste immagini.
Oltre alla potenza della testimonianza, le fotografie di Pezzini colpiscono per la loro struttura compositiva. Il suo segno estetico è inconfondibile, la sua volontà di mettere in scena le persone
porta a una forma sempre riconoscibile, quasi teatrale, che compone corpi e volti all’interno del paesaggio. Con grande immediatezza, tutto è dove deve essere, pronto per lo scatto”.


A suggellare la mostra Giuseppe Pezzini. Fotografo ambulante ci saranno anche gli scatti di Francesco Guidicini, fotografo di grande successo internazionale (alcuni dei suoi ritratti entrano a far parte della collezione permanente della National Portrait Gallery), tornato oggi sui luoghi fotografati un tempo da Giuseppe Pezzini.

In voga